
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
A 20 anni di distanza dalla prima edizione per Pandion, oggi a poche settimane dalla sua scomparsa lo ricordiamo con la nuova edizione del libro in formato tascabile, voluta dallo stesso Fulco Pratesi e da lui seguita fino al momento della consegna alla stampa.
Con un formato tascabile e leggero, un prezzo ridotto per arrivare anche ai giovani e famiglie.
La nuova edizione contiene un aggiornamento sui cavalieri d’Italia scritto dall’autore e con una preziosa presentazione di Fabrizio Carbone, che seguì con Fulco la scoperta dei cavalieri d’Italia ad Orbetello nel lontano 1965, e poi la fondazione del WWF Italia subito dopo, credendo totalmente nell’entusiasmo di Pratesi nel volere e creare le prime Oasi in Italia e un’Associazione per proteggere la fauna e flora selvatica.
Su richiesta dell’autore, molto gradita da Pandion edizioni, il 40% del ricavato di ogni libro andrà donato all’Oasi WWF di Orbetello per migliorare il soggiorno dei Cavalieri d’Italia nell’amata laguna maremmana.
E la nuova edizione verrà distribuita nelle scuole durante i vari laboratori naturalistici di disegno ed educazione ambientale sul mondo della palude, realizzati da Pandion ed e Aipan- Ass.ne italiana per l’Arte Naturalistica, di cui Fulco era socio onorario.
Edizione limitata.

PRESENTAZIONE di Fabrizio Carbone
La notizia che i cavalieri d’Italia nidificassero nella laguna di Orbetello arrivò come una bomba nelle case degli appassionati romani. Avevo poco più di vent’anni e Fulco Pignatti, cugino di Fulco Pratesi, mi avvisò della scoperta. Era una primavera mite e ventosa.
Raggiunsi Orbetello in fretta e furia e vi trovai il Fulco nazionale insieme ad Hardy Reichelt, un naturalista tedesco che conosceva la Maremma tra Lazio e Toscana come le sue tasche, che si addentravano lungo i labirinti e i meandri salmastri ricoperti di salicornia. E, in effetti, i cavalieri d’Italia erano lì: si alzavano in volo al primo pericolo e non smettevano un attimo di gridare.
Difendevano il territorio, il nido, le uova a terra. Erano uno spettacolo, le loro silhouette in volo, il contrasto tra le ali nere e il corpo bianco e le lunghe zampe rosso corallo. Li fotografavamo; anche Fulco allora faceva bellissime foto, con pesanti teleobiettivi poco luminosi e, di solito, con pellicole in bianco e nero. Ma soprattutto eravamo felici di aver scoperto un trampoliere che arrivava dall’Africa in primavera e che era tornato a riprodursi in Italia, smentendo i testi ornitologici dell’epoca che non lo davano per nidificante.
Era la metà degli anni Sessanta e il WWF Italia non era ancora nato ma stava per partire. Di birdwatchers lungo tutta la penisola se ne contavano non più di una dozzina. Si fantasticava sulla presenza dell’airone bianco maggiore, si mitizzava l’incontro con i fenicotteri che qualcuno più grande di noi aveva avuto la fortuna di vedere in Sardegna.
Fulco Pratesi prese a cuore la vicenda dei cavalieri d’Italia. Si scatenò, come solo lui ha sempre saputo fare, perché quel tratto di laguna di Orbetello potesse essere protetto. Il problema era, allora come oggi, una caccia talmente sregolata da permettere ai cacciatori di potersi aggirare nella palude e sparare ai trampolieri, identificati allora genericamente come “gambette” o “gambettoni”, anche a fine estate. I cavalieri divennero il simbolo di quelle battaglie: Fulco cominciò a disegnarli e anche Hardy li immortalò.
Anno dopo anno Pratesi seguì le nidificazioni in laguna. Così nacque l’idea di una storia in cui fossero loro i protagonisti della loro vicenda. Come sempre anticipatore, Fulco Pratesi scrisse “I cavalieri della grande laguna”, un libro che commosse tutti gli amanti della natura di allora.
Oggi quel bellissimo libro è rinato. Noi di “Ars et Natura” ed “Aipan”, di cui Fulco faceva parte con i suoi splendi acquerelli, vogliamo ringraziare Fulco per questo regalo, con una serie di schizzi, di acquerelli e di disegni dei cavalieri della grande laguna, da tanti anni ormai una delle più belle oasi del WWF Italia.

INTRODUZIONE di Fulco Pratesi
Una strisciolina di metallo, lustra per l’uso e ossidata nel fondo dei caratteri incisi, rappresentava l’ultimo legame che ancora mi univa allo stormo E 265-E 299. Trovata sulla zampa di un cavalier d’Italia stroncato da una schioppettata, la strisciolina di metallo era lo stesso anello di riconoscimento che nel giugno 1965 avevo chiuso sul tarso morbido e ancora verdastro del primo piccolo di questa specie nato nella laguna di Orbetello, sulla costa maremmana.
Per dodici anni, dal 1965 al 1977, questo uccello alto 38 centimetri e pesante poco più di un etto e mezzo era migrato tutti gli autunni con i suoi compagni nelle immense paludi dell’Africa equatoriale ed era tornato tutte le primavere a nidificare nello stesso luogo, un isolotto di venti metri per cinque perso in mille ettari di laguna salmastra.
Da dove al cavalier d’Italia derivi il nome sonoro e importante, gli studiosi non dicono: “cavaliere” probabilmente per le lunghe zampe che lo portano a vedere le cose dall’alto con aristocratico distacco; “d’Italia” perché era – ed è – uno dei pochi limicoli (cioè uccelli delle grandi distese di limo) che nidificasse nel nostro paese; e fors’anche perché negli altri paesi d’Europa, tranne la Grecia e la Spagna, è abbastanza poco comune.
Il cavalier d’Italia, a dar retta ai testi, non frequentava le nostre paludi da più di cent’anni: Ettore Arrigoni degli Oddi, il maggior ornitologo italiano, scriveva nel 1929: “Nel passato (circa 70 anni fa) nidificava in più parti d’Italia, ora ciò avviene eccezionalmente e si è fatto ovunque molto più raro”. In effetti, come era avvenuto per altre specie, l’aumento tumultuoso di cacciatori, di strade e di disturbo seguito all’unità d’Italia aveva allontanato questo trampoliere dalle ali nere, il corpo candido e le lunghe zampe scarlatte.
Fu nel 1965, mentre battevo con l’ornitologo tedesco Hardy Reichelt le lagune alle spalle dell’Argentario, che feci conoscenza diretta con il nostro cavaliere.
Le cose andarono così. La forte siccità, che aveva inaridito in quell’anno le paludi della costa spagnola impedendo le nidificazioni, aveva costretto un gruppo di essi a cercare un altro territorio. E, una mattina di aprile, erano capitati ad Orbetello.
Li ricordo come se fosse ieri: una cinquantina, eleganti nell’abito bianconero, non parevano affatto spersi in un ambiente per loro del tutto nuovo.
Li seguimmo giorno dopo giorno registrando tutto: la presa di possesso del territorio, le parate nuziali, gli accoppiamenti, ma restavamo scettici sul fatto che potessero nidificare da noi, anche se in quell’anno la caccia si era chiusa in anticipo garantendo ai nuovi arrivati la necessaria tranquillità.
Li consideravamo un gruppo di erratici che sarebbe scomparso come era arrivato, da un giorno all’altro.
Il 25 aprile avvenne il fatto nuovo e inaspettato: dopo aver osservato per ore col binocolo lo strano comportamento di una coppia su un isolotto ci decidemmo ad andare a vedere. Il nido era lì, costruito con alghe verdi su una frasca secca semi-galleggiante, con quattro uova verde oliva screziate di bruno.
Un’emozione difficile da descriversi.
Dopo cento anni il cavaliere era tornato.
Seguimmo la nascita dei piccoli e ne inanellammo una ventina.
Una gran parte di essi fu uccisa all’apertura della caccia in settembre; altri si salvarono e tornarono gli anni successivi a nidificare; da trenta a cinquanta coppie a seconda degli anni. Ma solo uno del primo gruppo, il numero E 270, tornò per dodici anni di seguito, un vero record per un uccello così piccolo.
Negli anni successivi altre colonie si insediarono in Sardegna, nel Veneto, in Romagna e in Puglia, e oggi il favoloso cavaliere non può più essere considerato raro nel nostro Paese.
Per cercare di garantire il futuro a questi uccelli, Reichelt e io ci battemmo anni e anni per farne vietare la caccia e per creare un’oasi di protezione nella Laguna di Orbetello; con conferenze, proiezioni, articoli, dibattiti, appelli e denunce, portammo avanti il problema tra il divertito disinteresse di tutti. Finché, nel 1971, non ottenemmo, grazie all’Associazione Italiana per il World Wildlife Fund, sorta nel frattempo, il decreto di protezione.
In questo libro ho voluto raccontare, in forma romanzata ma basata su più di un decennio di osservazioni dal vero, l’epopea del primo stormo di cavalieri, seguendolo dalla partenza dalla Spagna fino all’arrivo del grande lago del centrafricano ove questi uccelli trascorrono l’inverno. Ma questo è in realtà solo un pretesto: il soggetto vero della storia è il misterioso e irresistibile moto di migrazione che vede impegnati ogni anno milioni e milioni di uccelli in tutto il mondo, che ci porta in primavera il canto dell’usignolo e in autunno quello del pettirosso; il volo librato dei nibbi in estate e le ordinate formazioni invernali delle oche selvatiche. Un fenomeno che la distruzione dell’habitat, la caccia e l’inquinamento stanno gravemente minacciando ovunque e che le avventure di Durante e dei suoi possono contribuire a far conoscere e amare.
Voglio infine ringraziare tutti coloro che con informazioni e consigli mi hanno aiutato: Hardy Reichelt, senza il quale forse questo libro non sarebbe stato scritto, Gianfranco Bologna e Francesco Petretti, che studiano con passione la colonia di Orbetello, e infine Luigi Calchetti, guardia dell’Oasi WWF, che veglia sui discendenti dei “miei” cavalieri.
Fulco Pratesi
NOTA ALL’ULTIMA EDIZIONE
Negli anni successivi alla prima edizione di questo libro gli inanellamenti dei discendenti del gruppo di Durante sono proseguiti e hanno consentito di scoprire il luogo dell’Africa sudsahariana ove i cavalieri di Orbetello trascorrevano l’inverno. Grazie agli anelli rinvenuti sulla zampa di due individui inanellati nel 1982 e in seguito catturati, si è visto che l’area di svernamento è proprio quella attorno al Lago Fuguibine nel Mali dove, nel romanzo, avevo situato la mappa di arrivo dei miei cavalieri. Per la storia, l’individuo H 2410 è stato ritrovato a Mopti, 200 chilometri più a sud del lago, e il numero H 2449 a Kayes, sempre nel Mali, sul fiume Senegal, alla stessa latitudine di Mopti, ma 700 chilometri più ad ovest. Il primo ha percorso 3.450 chilometri, il secondo 3.822.
Negli ultimi anni meno coppie si sono riprodotte nella laguna di Orbetello; probabilmente i componenti del gruppo di Durante hanno fatto ritorno alle grandi lagune della costa spagnola da cui la loro avventura era iniziata nel lontano 1965. Ma hanno colonizzato altre aree.
Individui marcati ad Orbetello con anelli colorati sono stati infatti avvistati in quei luoghi e anche in Camargue, alle foci del Rodano.
Oggi i cavalieri d’Italia sono presenti in quasi tutte le paludi e le lagune italiane dove si riproducono grazie anche alla protezione che, dopo secoli di bonifiche e di prosciugamenti, il nostro paese ha finalmente accordato a questi ambienti.
E così l’epopea eroica di questi e di altri uccelli migratori continua a verificarsi ogni anno nonostante la caccia, gli inquinamenti e i parossismi del clima dovuti all’irresponsabilità umana.


